Socrate

Socrate, una delle figure più significative nella tradizione filosofica, si distingue dalla sofistica, pur condividendone l'interesse per l'uomo e la parola, per un'attenzione particolare nei confronti dei valori dell'interiorità e della ricerca della verità. 

Particolare di Socrate da La morte di Socrate,
J. L. David, 1787

La sofistica - con il suo relativismo - erose definitivamente le antiche certezze, il che produsse un diffuso malcontento presso le classi conservatrici che cominciarono a guardare con ostilità verso la filosofia in generale. Socrate vive e opera in questo difficile clima, da una parte si trova a combattere il relativismo della sofistica, dall'altra deve subire l'ostilità delle classi conservatrici. Un esempio di tale diffidenza verso la filosofia è fornita dalla commedia Le nuvole di Aristofane.

Socrate non lascia nessuna testimonianza scritta diretta: preferiva il contatto immediato, in particolare con i giovani. Ci sono, però, molte testimonianze indirette, tra cui spicca quella di Platone, suo discepolo, il più attendibile interprete del pensiero del maestro. Il filosofo, secondo le descrizioni su di lui che ci sono arrivate, non doveva essere un bell'uomo esteticamente, ma aveva un animo bello e nobile, coraggioso e forte; lo stesso coraggio lo dimostra durante la sua condanna a morte. Il filosofo fu messo a morte durante il periodo della restaurata democratica, la quale fu, però, fragile e priva dei grandi valori dell'epoca di Pericle. In una fase di crisi economica e politica, il potere lo avvertiva come una minaccia: fu accusato e riconosciuto colpevole di non onorare gli dei e di aver corrotto i giovani. Tali accuse celavano forte preoccupazione del nuovo governo per un personaggio in grado di mettere in dubbio ogni certezza e minare le basi di un sistema politico già vacillanti. 

La morte fu il sigillo estremo della grandezza spirituale di Socrate; è significativo, inoltre, il modo in cui affrontò la situazione: la condanna fu eseguita dopo un mese, perché era partita la nave per le feste di Delo e nessuna sentenza capitale poteva essere eseguita finché la nave non fosse tornata. Egli trascorse serenamente il carcere e l'ultimo giorno, dopo essersi lavato per giungere puro all'ora decisiva, bevve la cicuta. La morte di Socrate può essere interpretata come la conclusione di un'esistenza vissuta all'insegna del rigore morale e del perfezionamento interiore

L'opera di Platone, l'Apologia di Socrate, inizia con l'oracolo di Delfi, che indica Socrate come l'uomo più saggio e che suscita nel filosofo perplessità e imbarazzo, nonché il desiderio di capire i motivi di tale giudizio. Socrate inizia la sua ricerca recandosi presso gli uomini considerati più sapienti: politici, medici o artigiani, giungendo alla conclusione che ognuno di loro sapeva qualcosa di peculiare della propria arte, ma ignorava tutto il resto. Il risultato dell'indagine è chiaro: Socrate è il più saggio perché sa di non sapere, mentre gli altri mancano di tale consapevolezza e, anzi, spesso cadono nella propria presunzione. Socrate si sente investivo in una missione divina: scuotere gli uomini dal loro torpore spirituale pungolandoli incessantemente ed affermando di conseguenza una nuova cura: quella dell'anima.

Come si realizzava esplicitamente la sua missione? Socrate metteva in crisi coloro con cui dialogava, insinuando in loro il dubbio e a chiedersi sempre il perché di qualunque cosa. Ai suoi interlocutori rivolgeva una domanda molto semplice, del tipo:

"Tu parli bene della città, del rispetto dei genitori, della sanità, della religione, della virtù, del coraggio ecc. Ma ti sei mai chiesto che cosa sono il bene, il rispetto, la sanità, la religione, la virtù, il coraggio ecc.?"

Il suo intento fu da un lato dimostrare alle persone che si consideravano sapienti che non lo erano affatto, dall'altro quello di pervenire ad una definizione soddisfacente dell'argomento trattato, che consentisse un accordo linguistico e concettuale tra gli interlocutori. 

Il metodo adottato da Socrate si componeva di due momenti: l'ironia (critico e negativo) e la maieutica (costruttivo e positivo).
Vediamo, in primo luogo, in cosa consisteva l'ironia. Socrate, dialogando con i suoi interlocutori, chiedeva di pronunciarsi su un particolare tema, fingendosi completamente ignorante a riguardo. Poco per volta, però, risultava chiaro che nemmeno l'interlocutore sapeva realmente cosa fosse ciò di cui si parlava: ed ecco che la "maschera dell'ignoranza" assunta da Socrate risultava lo strumento più efficace per mettere a nudo l'ignoranza altrui. In questo momento subentra il momento maieutico, il cui fine era far capire quanto fosse importante ricercare sempre la verità, senza mai accontentarsi a formule superficiali e scontate. 
Il suo metodo viene definito maieutico, perché come l'ostetrica aiuta a partorire corpi, Socrate aiuta i suoi allievi a "partorire" le idee.

Socrate concepiva la sua missione come un invito a ragionare, perché attraverso il dialogo ci si libera dai concetti sbagliati e si arriva a capire ciò che è bene fare. Proponeva un tipo di conoscenza che si consegue nell'interiorità della propria anima e che conduce alla consapevolezza di se stessi e dei propri limiti. In quest'ottica il ruolo di Socrate si riconosceva come uno strumento per aiutare a riflettere e trovare una soluzione personale ai problemi, che è ciò, secondo il filosofo, con cui coincide l'istruzione e l'educazione.

La tradizione ha recepito il progetto socratico come stimolo a non abbandonare mai la ricerca, ad approfondirla sempre di più; anche il concetto di virtù acquisisce ora un carattere più generale. Convinzione di Socrate è che sia necessario raggiungere una visione di virtù più unitaria, per realizzare una vita davvero soddisfacente, e questa virtù unitaria si identifica con la filosofia stessa; ossia con un vero e proprio stile di vita votato alla ricerca.

Socrate afferma che chi conosce il bene non può commettere il male; il suo pensiero si può classificare con una formula di intellettualismo etico. Sostiene che chi è in grado di commettere azioni sbagliate non è realmente consapevole dell'errore che sta commettendo, perché chi si rende conto razionalmente del male non può seguirlo. É propria per la sua integrità morale che può dichiarare che la virtù è intesa come continua ricerca e riflessione su ciò che è bene fare per se stessi e per la comunità. Il bene non è qualcosa di assoluto, ma ciò che un'attenta analisi razionale della situazione ci fa comprendere come tale. Chiarita la natura della virtù, diventa facile capire che per Socrate essa è unica, ed è la ragione che permette di discernere il bene del momento, ed è insegnabile, in quanto coincide con la scienza del bene e del male. La virtù diventa l'obbiettivo principale della filosofia intesa come realizzazione condivisa della ricerca razionale che può illuminare e guidare le azioni degli uomini.

Per i filosofi presocratici "psiche" equivaleva all'ultimo respiro esalato dal morente, per Eraclito era energia vitale; solo con Socrate la psiche diventa anima. Per Socrate l'anima è la dimensione più profonda dell'uomo, guardando nell'anima l'uomo scopre ciò che è veramente bene fare: questo è il significato del motto che egli assume come emblema della propria filosofia: "conosci te stesso". 
Socrate diceva di sentire la voce di un demone, il quale nei momenti decisivi lo metteva in guardia sulle azioni da evitare: il demone socratico è stato interpretato come la voce della coscienza etica e civile dell'uomo . Il filosofo vede nella cura dell'anima la più importante delle attività umane, in quanto è l'anima stessa a qualificare l'uomo come tale. La conclusione socratica è che il vero male non è la morte del corpo, ma la morte dell'anima. 

Socrate lascia in eredità alla filosofia occidentale la prima concezione dell'anima come centro della personalità morale dell'uomo; una cura dell'anima intesa soprattutto come un compito intellettuale e morale.

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